Franco Prosperi

  LE MIE PUBBLICAZIONI DI FILOSOFIA

La storia dell’evoluzione ci insegna che la via che conduce alla bellezza dell’arte è simile al meccanismo della ricerca del vuoto interiore e del nulla messo in atto dai mistici delle religioni d’occidente e dell’oriente.

Nella storia di quelle civiltà infatti a quelle religioni corrisponde una straordinaria bellezza dell’arte, anche profana, non una inferiore all’altra, di pari potenza comunicativa dei valori spirituali ed estetici.

Lo stesso tipo di processo in cui l’uomo pone al centro della contemplazione il vuoto interiore e il nulla, non è esclusivo della dimensione religiosa, ha investito nel passato ogni categoria umana ed è stato molla fondamentale del meccanismo creativo, che sia quello della scienza, della filosofia, della letteratura, della poesia e dell’estetica in senso ampio.

Il nulla può avere una dimensione dualistica: il nulla come volontà di negazione di ogni essenza e il nulla come percezione di assenza ossia del vuoto dello spazio interiore.

x) - Perseguire il nulla come assoluta negazione di ogni essenza porta alla negazione della bellezza e alla inevitabile negazione dell’arte.

Negare la bellezza come fine essenziale dell’arte significa affermare la incomunicabilità ossia togliere all’arte la sua funzione fondamentale che è quella di comunicare la specifica bellezza di alcuni determinati significati denotati e connotati alla stessa stregua di un linguaggio.

y) - Perseguire il nulla come percezione dell’assenza per la determinazione del vuoto nell’io interiore è stato nella storia in special modo l’obiettivo fondamentale dei mistici e dei contemplativi per conseguire la ‘bellezza’ della perfezione spirituale.

Scrive Merton: Per i cristiani «L’individuo è ‘morto’ con Cristo al suo ‘vecchio uomo’, al suo io esteriore, egoistico e ‘risorto’ in Cristo all’uomo nuovo, un essere disinteressato e divino, che è lo stesso Cristo, lo stesso che è ‘tutto in uno’.

Per i buddisti sembra che si consideri il ‘vuoto’ una completa negazione della personalità, mentre il cristianesimo trova nella purezza del cuore e nell’unità dello spirito una realizzazione suprema e trascendente della personalità»[1].

Per l’artista analogamente, la dimensione spirituale del vuoto interiore è una condizione conscia o inconscia, necessaria per il conseguimento della bellezza estetica in parte dovuto all’intuizione dei valori necessari della realtà per esprimere una forma che si manifesta nello spazio esteriore.

Perseguire la bellezza come fine essenziale dell’arte significa negare la incomunicabilità ossia riconoscere all’arte la sua funzione fondamentale che è quella di comunicare l’insieme dei significati estetici degni di nota, portatori di qualità e di valori morali, alla stessa stregua di un linguaggio poetico.

L’esperienza artistica insegna a essere più umani poiché la bellezza è semplicemente la realtà in sé percepita con piena consapevolezza.

L’esperienza dell’arte è come l’esperienza dello spazio: è proprio questo il senso di creare dell’arte.

La bellezza espressa dall’opera d’arte non è determinata a priori nel vuoto interiore ma è la conseguenza finale della percezione della realtà e dei valori evolutivi necessari percepiti e comunicati.

Il mio cammino filosofico ha percorso esperienze filosofiche occidentali ed orientali da me sintetizzate in linguaggi estetici verbali, quello letterario e poetico, e pittorico e grafico.


 

[1] Thomas Merton, Lo zen e gli uccelli rapaci, Garzanti, Milano, 1968, p. 120.

 

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